GAZIANTEP — Sopravvissuti, magari perché un padre, una madre o una sorella li ha protetti con il proprio corpo. O semplicemente perché così doveva andare. Gli occhi spalancati su quel mondo che stava per inghiottirli e che invece li ha fatti riemergere dall'oscurità. Sono i bambini — anche neonati — estratti vivi dalle macerie. Salvati, raccontati, immortalati, una speranza cui aggrapparsi, sempre che siano arrivati vivi in ospedale dopo i soccorsi.
Terremoto in Turchia, oltre 35 mila vittime Estratta viva dopo 170 ore sotto le macerie
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C'è un poi. Aya, il «miracolo» di Afrin, neonata estratta viva dalle macerie nel Nord della Siria ancora attaccata al cordone ombelicale della madre, è stata in un primo momento affidata alle cure del direttore dell'ospedale che l'ha curata. «Datela in adozione», è stato subito il grido del mondo quando quel corpo, tanto piccolo da essere sorretto da una mano, è uscito dal buio. Poi il prozio di Aya, Salah al-Badran, l'ha presa con sé nonostante la sua stessa casa sia crollata. E ora Aya vive in una tenda con lui e 11 altre persone, dice l'Ap.
Tariq Haidar, 3 anni, è stato estratto vivo dalle macerie della sua casa a Jandaris, nel nord della Siria, 42 ore dopo il terremoto. Poi, l' ospedale dove i medici sono stati costretti ad amputargli la gamba sinistra. Malek Qasida, un'infermiera che si prende cura di lui, ha raccontato alla Reuters: «Hanno tirato fuori suo padre e due dei suoi fratelli prima di lui, morti». Poi sono stati estratti il corpo di sua madre e di un terzo fratello.
Aya e Tariq sono solo due. Le informazioni sul numero esatto di bambini rimasti senza genitori non sono ancora chiare. Secondo il ministero della Famiglia e dei servizi sociali turchi, venerdì non era possibile raggiungere le famiglie di 263 bambini estratti dalle macerie in Turchia. Di questi, 162 continuano a ricevere cure in ospedale, mentre 101 erano stati trasferiti nelle unità competenti del ministero e ricoverati in istituto. Impossibile invece avere qualche dato certo dalla Siria.
Pochi gli orfanotrofi in Turchia, pochissimi in Siria, nonostante la guerra. Qui, quando un bambino rimane senza genitori, tendenzialmente viene allevato dagli altri parenti. Il fatto che le famiglie siano numerose è un fattore determinante. Ecco perché secondo Joe English, esperto di emergenze dell'Unicef, l'adozione non dovrebbe mai avvenire subito dopo un'emergenza. «Fino a quando non sarà possibile verificare il luogo in cui si trova il genitore o altri membri stretti della famiglia, si considera che il bambino abbia parenti stretti in vita», spiega. Fondamentale dunque identificare i casi. Soprattutto perché a seguito di questo tipo di disastri, i bambini sfollati, in particolare quelli non accompagnati o separati dalla famiglia, sono vulnerabili alla violenza, allo sfruttamento e agli abusi, compreso il rischio di tratta o violenza di genere. Ed è così che il poi rischia di diventare ancora più doloroso, come se giò non lo fosse abbastanza essere tirati fuori da quel buio di macerie, paura e polvere.