| Carico di colori, segni, tracce drammatiche, spinte emotive. Dramma / melodramma / romanzo d'appendice. Fin troppo lungo nei suoi 175 minuti di amori, dolori e avventure. Però appassionante, epico, sincero. Lubo di Giorgio Diritti è la storia di un artista di strada, un musicista-giocoliere, il nomade Lubo Moser, che nel 1939, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, viene assoldato nell'esercito svizzero per difendere i confini nazionali da una possibile invasione tedesco-nazista. Viene strappato alla famiglia e al suo povero carro dai gendarmi. La guerra impone agli eserciti di rafforzarsi. Ma nel caso di Lubo c'è di più. L'uomo è un perseguitato: vittima di un piano di pulizia etnica strisciante. Lo troviamo in una fredda giornata svizzera con la biacca sul viso e una fisarmonica tra le mani in una piazza dei Grigioni, a suo modo felice di divertire comari e contadini, atterrito quando deve lasciare gli affetti per fare il suo dovere di soldato. Il cuore però gli scoppia quando apprende che la moglie è morta tentando di fermare le guardie che le strappavano i tre figli destinandoli a uno pseudo caritatevole programma di assistenza per i ragazzi Jenitsch, in quanto zingari. Lo scopo reale è farli adottare e disperdere così, a poco a poco, le mal tollerate comunità rom. Il film a questo punto diventa una sorta di revenge movie all'europea. Lubo giura a sé stesso di ritrovare i tre figli (e vendicare la moglie) e il pensiero si trasforma in un'ossessione che gli dà la forza di vivere. Solo e disperato, sull'orlo della follia, trova la strada per riemergere attraverso il delitto, impossessandosi dell'identità e degli ingenti averi, in denaro, gioielli e opere d'arte, di un ebreo austriaco. Adesso è un uomo ricco, misterioso e affascinante, antiquario e possidente. Il suo obiettivo (la sua vendetta) è allargare la cerchia della discendenza rom ingravidando nobildonne innamorate. L'ultima conquista, quella definitiva, una quieta ragazza madre / cameriera d'albergo (Valentina Bellè) con cui progetta di metter su una splendida casa a Verbania, davanti al lago, viene messa in forse da un incontro che sembra fortuito nella hall di un albergo di Bellinzona. A tre anni di distanza dal biopic sul pittore Ligabue Volevo difendermi, commercialmente tramortito dal Covid, Diritti prende spunto dal romanzoIl seminatore di Mario Cavatore e conferma di essere il regista italiano che è più cresciuto negli ultimi anni quanto a qualità e potenza espressiva. Lubo è un film sentimentale, con un passo ottocentesco, sviluppato in più lingue (tedesco, francese, gitano e naturalmente italiano) che invoca giustizia per i deboli. Un elogio del teatro di strada, delle radici e della creatività, della coerenza e della fedeltà a sé stessi contro tutte le discriminazioni. Un flusso di coscienza sul rapporto padri e figli, sulle emergenze epocali, sul conflitto tra generazioni, sul dramma della Storia che incontrando gli individui ne fa polpette. Contro il razzismo quotidiano, il malessere sociale, l'euforia e la depressione. Lubo Moser, che seguiamo per una ventina d'anni, grosso modo dal 1939 al 1959, cerca lo sguardo della moglie in tutte le donne che incontra, come gli indica una cartomante. Intabarrato, stretto nella divisa d'ordinanza, con la giacca e i baffoni del commerciante, il tedesco Franz Ragowski è l'interprete ideale per il personaggio, a metà tra il bene e il male, con quel lampo di follia negli occhi. |