| Buongiorno. Dopo quasi tre mesi di proteste di piazza represse nel sangue, la «polizia morale» iraniana (la Gasht Ershad, qui raccontata da Andrea Nicastro) responsabile dell'arresto e della morte, a metà settembre, della 22enne Mahsa Amini — «colpevole» di indossare male il velo islamico — è stata sciolta «da chi l'aveva creata». Chi l'avesse creata, però, nessuno oggi ha il coraggio di dirlo. «Non è parte della magistratura, non è parte della polizia... Nessuno vuole prendersi la responsabilità: e questo mostra quanto sia debole il regime. Non può decidere su uno dei suoi stessi organi. È una delle cose più folli che abbia mai sentito» dice, a Viviana Mazza, Azar Nafisi, autrice del bellissimo Leggere Lolita a Teheran.
Proprio Nafisi, però, offre una chiave di lettura sul caos che regna ai vertici della Repubblica islamica:
Khamenei (la Guida Suprema, ndr) dovrebbe avere l'ultima parola e, in molti casi, va all'estremo usando ogni mezzo possibile per cementare il regime, ma c'è un disaccordo interno che è fonte di debolezza. Nel regime vedo due tendenze estreme nel modo di reagire a queste proteste degli ultimi due mesi: uno consiste nel negare la propria responsabilità o anche atteggiarsi a opposizione, l'altro di adottare la linea della repressione più dura come se i manifestanti fossero corpi estranei all'Iran. Queste contraddizioni indeboliscono il regime. In teoria Khamenei ha il potere, ma nell'azione concreta non sappiamo chi ce l'abbia e, in rami diversi, le persone agiscono in modo diverso.
Nafisi spiega anche — partendo proprio dalla questione del velo islamico (hijab), perché ai suoi occhi, e agli occhi delle migliaia di ragazze e ragazzi che in queste settimane sono scese in piazza (nella foto in apertura, una protesta a Teheran) a rischio del carcere e della vita, il regime sia irriformabile:
È troppo tardi per fingere che ci sarà qualche tipo di riforma all'interno del sistema. E il governo ha fatto dell'hijab il suo problema centrale. Lo hanno fatto loro. Sono loro che hanno sostenuto che, se le donne girano per strada vestite come vogliono, significa che il regime è finito. E adesso è ciò di cui hanno paura. Non possono fare le riforme. Come faranno? Se domani dicessero “niente più hijab” e “niente più polizia della morale” significherebbe niente più Repubblica Islamica. È vero che se viene abolita è una sorta di vittoria, ma non è quello che i manifestanti stanno chiedendo. Non dicono di abolirla o di essere più flessibili sull'hijab. Dicono: “Non vi vogliamo”.
Il che spiega anche perché Marta Serafini scriva di «un'apertura di facciata non certo sufficiente a fermare quella che gli attivisti definiscono una vera e propria rivoluzione». Le dimostrazioni indette da oggi a mercoledì ne saranno, con ogni probabilità, la prova.
È l'inizio della fine per il regime khomeinista portato al potere dalla rivoluzione del 1979? Nafisi sembra esserne convinta:
Lo scontro con il regime è legato al fatto che i manifestanti non vedono alcun futuro per se stessi nel sistema. Hanno bisogno di un nuovo sistema nel quale poter creare il proprio futuro. Ed è per questo che lo slogan è “Donne, vita — dicono vita: non una cosa politica — e libertà”. È troppo tardi.
L'Ucraina e le parole del Papa
Oltra a quello iraniano, continua anche il dramma ucraino. L'inviato Lorenzo Cremonesi continua a raccontarel'assedio di Bakhmut, a nord di Donetsk, in Donbass. Dove è arrivato il gelo, ma il sole favorisce l'intensificarsi dei bombardamenti russi:
«Da oltre una settimana i loro tiri sono continui, massici, e aumentano di giorno in giorno, sparano con tutto ciò che hanno a disposizione», ripetono quasi con le stesse parole civili e militari. Ieri la strada principale a due corsie che da Kostyantynivka porta a Bakhmut poteva essere percorsa solo con i blindati, o comunque ai posti di blocco la sconsigliavano caldamente alle auto civili. Ma anche tra i villaggi affacciati sulle vie secondarie cresce il timore che lo sbarramento di fuoco possa interrompere il traffico. I comandi ucraini accusano inoltre Mosca di avere sparato dai droni granate K-51 alla cloropicrina, un agente chimico dell'epoca sovietica vietato dalle Convenzioni di Ginevra contro le armi non convenzionali.
Alcuni artiglieri ucraini incontrati dall'inviato del Corriere hanno anche accusato l'Italia di aver fornito loro armamenti vecchi e sorpassati.
Sulla guerra in Ucraina, il Corriere di oggi pubblica anche le parole di papa Francesco, dall'introduzione al libro Un'enciclica sulla pace in Ucraina, in uscita per TS edizioni — curato dal vaticanista del Fatto Quotidiano Francesco Antonio Grana — che raccoglie gli interventi del pontefice sul conflitto in Europa. Ecco alcuni passaggi:
La guerra in Ucraina, già alla vigilia del suo inizio, ha interrogato ciascuno di noi. Dopo gli anni drammatici della pandemia, quando, non senza grandi difficoltà e molte tragedie, stavamo finalmente uscendo dalla sua fase più acuta, perché è arrivato l'orrore di questo conflitto insensato e blasfemo, come lo è ogni guerra? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra giusta? Possiamo parlare con sicurezza di una guerra santa? (...)
A quante altre tragedie dovremo assistere prima che tutti coloro che sono coinvolti in ogni guerra comprendano che questa è unicamente una strada di morte che illude soltanto alcuni di essere i vincitori? Perché sia chiaro: con la guerra siamo tutti sconfitti!
Il limite sui pagamenti con il Pos
Nella politica italiana, la notizia del giorno è, invece, la «frenata» di Giorgia Meloni sulla soglia di 60 euro, al di sotto della quale gli esercenti avrebbero diritto di rifiutare pagamenti con carte, pretendendo i contanti. «Quella di 60 euro è indicativa, per me può essere anche più bassa. C'è un'interlocuzione con la Commissione Ue. Vedremo», ha detto la premier, inaugurando la sua rubrica social «Gli appunti di Giorgia». Questa, invece, l'argomentazione che ha usato per difendere l'innalzamento a 5 mila euro del tetto ai pagamenti in contanti: «Per paradosso, più è basso il tetto al contante e più si rischia l'evasione, perché i contanti io posso averli in casa per svariati motivi e, se non li posso spendere legalmente, tenderò a farlo in nero».
Vedremo se troveranno il ragionamento convincente a Bruxelles, dove pare ci siano timori di una marcia indietro del governo italiano sulla lotta all'evasione fiscale, il cui contrasto era invece uno degli impegni legati all'erogazione dei miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
A proposito di conti, Federico Fubini pronostica che, da parte dell'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), oggi in audizione alla Camera, «non ci sarà alcuna critica dai toni marcati, anche perché gli obiettivi di bilancio appaiono cauti e sostenuti da coperture che non presentano molti più problemi rispetto ad altre occasioni del recente passato. Ma potrebbe fare una serie di osservazioni sulla legge finanziaria: sia sul merito delle politiche, sia sugli effetti di alcune delle misure, sia sulle prospettive del debito».
Questi, a suo avviso, i possibili punti critici:
Una soglia alzata a 5 mila euro sull'uso del contante non ha correlazione diretta con la repressione nell'evasione ovunque in Europa, ma in Italia senz'altro in questi anni un tetto più basso ha aiutato a ridurla. Per la «flat tax» al 15% sulle partite Iva sui redditi fino a 85 mila euro, l'Upb non eccepisce in sé ma ha un dubbio: se il governo intende allargare il sistema di imposte cedolari del genere, come a volte si ripete, allora andrà rivisto e ristretto il perimetro della spesa e dei servizi pubblici. Infine l'aspetto più delicato. Sembra esserci una probabilità superiore al 50% che il debito pubblico nel 2023 non riesca a calare, invece di segnare la discesa dal 145,7% al 144,6% del prodotto interno lordo come previsto dal governo. Il motivo non sarebbe nelle coperture della manovra, ma nel fatto che la crescita nominale del prodotto dell'Italia (cioè crescita reale più inflazione) forse è sovrastimata dal governo per l'anno prossimo.
Movimenti dentro i partiti
Sulle note di Bella ciao, è arrivata ieri, come previsto, la candidatura di Elly Schlein alla segreteria del Partito democratico, per la quale la vicepresidente della Regione Emilia Romagna sfiderà il suo attuale «superiore» Stefano Bonaccini. «Sento un buon vento, la possibilità di farcela è alta — ha detto Schlein —. Non siamo una corrente nuova, siamo un'onda. E se lo facciamo insieme io ci sono, non mi tiro indietro. Costruiamo insieme questa candidatura, per dimostrare che io posso-diventare-la-segretaria-del-nuovo-Partito democratico!».
Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha però deciso di appoggiare Bonaccini e in un'intervista a Maria Teresa Meli, dice: «Io credo che il nuovo segretario e il nuovo gruppo dirigente debbano essere scelti non in base al genere ma in base alle capacità e alla credibilità. Detto ciò, con Stefano stiamo già lavorando a un comitato promotore con molte donne capaci e giovani. Quanto alle correnti, noi al congresso candidiamo alla guida del Pd una classe dirigente che viene dai territori, nuova, stimata dai cittadini e pragmatica. Non mi stupisce che i capicorrente abbiano scelto altri».
I toni sembrano dare ragione a quel che ha scritto Francesco Verderami sul Corriere di sabato: «Il primo compito che toccherà al futuro segretario del Pd non sarà riuscire a competere con il centrodestra ma tenere unita la sinistra. Più che una missione sembra un'impresa».
Claudio Bozza segnala, peraltro, acque agitate anche nella Lega. Il candidato di Matteo Salvini alla segreteria provinciale di Varese, Andrea Cassani, ha vinto di appena 12 voti, mentre a Brescia ha prevalso Roberta Sisti,ex salviniana che ha cambiato rotta dopo il tonfo elettorale alle Politiche, spostandosi su posizioni bossiane. «La battaglia politica, specie dopo la sfida lanciata a Salvini da Bossi con il Comitato Nord, è solo agli inizi», prevede Bozza.
Volendo, si può prendere nota anche dell'aria di divisioni e scomuniche dentro Italexit di Gianluigi Paragone.
Maltempo e dissesto
Nessuna vittima, ma danni ingenti per la nuova ondata di piogge e maltempo, soprattutto in Puglia, Calabria e Sicilia. Più un piccolo maremoto a Stromboli, dopo una scossa di magnitudo 4.6, con epicentro a sud di Vulcano. «Si sono concentrati diversi eventi — ha detto Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile, che ha convocato l'unità di crisi —. Per fortuna sono stati tutti gestibili, ma il vero problema è quello della fragilità del nostro Paese».
Da questo punto di vista, preoccupa quel che denuncia Fabio Savelli: l'Italia non ha finora speso un solo euro dei 2,5 miliardi previsti nel Pnrr per interventi contro il dissesto idrogeologico.
Come scrive il direttore del Corriere, Luciano Fontana, rispondendo a un lettore, in Italia c'è «assenza di una cultura della prevenzione. Latita il senso di responsabilità: fino a quando non arriva il disastro, le buone pratiche vengono messe in secondo piano rispetto ad altre più utili elettoralmente».
Le altre notizie
• La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ieri ha illustrato, in un discorso pronunciato al Collegio d'Europa di Bruges, la proposta di un fondo sovrano Ue per finanziare la transizione verde e consentire all'industria europea di restare competitiva nei confronti di quella statunitense. E regole Ue sugli aiuti di Stato «adattate» e «semplificate» per facilitare gli investimenti pubblici, facendo però attenzione a preservare l'integrità del mercato unico. È la strategia che l'Unione intende mettere in campo per fronteggiare l'Inflation Reduction Act da 369 miliardi di dollari voluto Joe Biden, che «sta sollevando preoccupazioni» in Europa per il rischio che «porti a una concorrenza sleale».
• Sda Bocconi, nome storico tra le scuole di management, scala le classifiche europee (nello specifico, quella stilata dal Financial Times). Sale dal quinto al quarto posto superando la Iese di Barcellona, finita in sesta posizione. E si lascia alle spalle realtà come la svizzera University of St Gallen e la Esmt di Berlino. Accorciando le distanze dalla London Business School (seconda), dalla Hec (prima) e dalla Escp (terza), due delle grandi business school francesi. La promozione della Sda Bocconi, scrive Daniela Polizzi, è un po' anche quella del «sistema Italia», perché «attraverso la school of management dell'Università Bocconi si forma la classe dirigente che ha tra le missioni quella di rendere le imprese più internazionali».
• La Tunisia fa un passo avanti in più verso la laicità dello Stato. La novità è rappresentata da un matrimonio civile avvenuto a Tunisi lo scorso 8 novembre in cui per la prima volta ad officiare la cerimonia non c'era il solito iman ma una funzionaria dello Stato civile. Come se non bastasse gli sposi avevano scelto due donne come testimoni. Un fatto senza precedenti in un Paese islamico. E, infatti, la notizia ha fatto infuriare gli integralisti islamici che vi hanno visto un oltraggio alla Sharia, che — secondo alcune interpretazioni — equipara la testimonianza di una donna a metà di quella di un uomo. Il dibattito si è spostato sui social dove, però, sono stati molti di più gli interventi favorevoli all'iniziativa perché avalla in modo concreto la parità di genere che la Tunisia a parole persegue.
• L'India dei poveri piange perché ha perso il suo cantore e paladino, Dominique Lapierre, morto a 91 anni. Piangono anche i lettori de La città della gioia, che ebbero la vita sconvolta da questo libro uscito nel 1985 dedicato agli ultimi della terra, gli uomini cavallo di Calcutta. «Non pochi ragazzi, anche in Italia, dopo averlo letto decisero di dedicarsi al volontariato o si iscrissero a Medicina con il progetto di aiutare il prossimo», ricorda Dino Messina.
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