«Passeremo giorni brutti». Dopo l'eliminazione in Champions del suo Manchester City ad opera del Real Madrid, Pep Guardiola è distrutto e incredulo, ancora costretto a fronteggiare la cosiddetta maledizione Champions. Dal giorno in cui disse addio al Barcellona nel 2012, dopo aver vinto la seconda coppa nel 2011, bissando il successo del 2009, ha collezionato solo delusioni e illusioni. Ha allenato per tre stagioni il Bayern Monaco – conquistando gli ultimi trofei internazionali in carriera nel lontanissimo, ed è difficile solo a immaginarlo, 2013 quando con i tedeschi alzò al cielo Supercoppa Europea e Mondiale per club – e da sei stagioni allena il ricchissimo Manchester City. Col quale ha vinto tuto in patria, ma nessuna Champions.
Incredibile Real Madrid - Guardiola la Champions è diventata la sua maledizione
Incredibile Real Madrid - Guardiola la Champions è diventata la sua maledizione
L'ultimo successo di Pep è del 2011 col grande Barcellona, poi solo delusioni col Bayern Monaco e col City, compresa la finale persa col Chelsea nel 2021: le ragioni di una difficoltà che non si spiega razionalmente. E che sta trasformando la coppa in un'ossessione che genera errori
L'ha sfiorata soltanto il 29 maggio 2021, quando finalmente arrivò a giocarsi tutto in un derby inglese con il Chelsea. Partiva favoritissimo, Pep. Si ritrovò a raccogliere per l'ennesima volta i cocci di una delusione. Finì 1-0 e Roman Abramovich si impose nel personalissimo match dei multimiliardari con lo sceicco Mansour bin Zayd al Nahyan, che in questi anni per accontentare il tecnico ha speso oltre un miliardo di euro (nel dettaglio un miliardo e 74 milioni) così suddivisi: 215 nel 2017; 317,5 nel 2018; 78,59 nel 2019; 159,52 nel 2020; 169,3 nel 2021; 134,5 nel 2022. L'ultima spesa folle proprio qualche mese fa, quando staccò un assegno da 117 milioni di euro (cifra più alta di sempre nel calcio inglese) per acquistare Grealish dall'Aston Villa.
Insomma, per Guardiola è la crudele legge della Champions, il torneo che non perdona. Per vincerlo, bisogna avere «buena suerte», disse José Mourinho più di un decennio fa. È il torneo nel quale cadono re e rotolano le teste. E negli ultimi anni cade solo e sempre un grande sovrano: Guardiola appunto. Nel 2017 Pep perse tutto e uscì agli ottavi contro il Monaco e nel 2018 salutò ai quarti contro il Liverpool. Delusioni cocenti, ma rimase in sella. Perché è uno dei migliori e guadagna 23 milioni di euro netti. Nel 2019 e nel 2020 il fallimento fu ancora più forte: ancora out ai quarti contro il Tottenham in due gare rocambolesche (anche troppo: k.o. per 1-0 e vittoria per 4-3, c'era ancora la regola del gol in trasferta) e contro il Lione. Due avversari, sulla carta, più deboli. Da qui la critica più feroce: vinceva solo perché aveva Messi (e Iniesta, Xavi, eccetera eccetera). Giudizi ingenerosi perché ha comunque vinto le Premier incantando con il suo calcio. Al termine della finale 2021 disse: «Forse un giorno romperemo questo incantesimo…». Ma adesso Guardiola dovrà battagliare con la sua tempesta interiore e i suoi demoni, per non trasformare (se non l'ha già fatto) il sogno in un'ossessione pericolosa e irraggiungibile.
Del resto Guardiola è anche divisivo. C'è chi lo considera un genio, chi un presuntuoso. Colui che cerca di inventare qualcosa di nuovo, ma si ingarbuglia nel suo genio, forse incapace di gestire l'irrazionale del calcio o forse, come sostengono molti, così preoccupato di programmare e di avere tutto sotto controllo da impoverire la capacità dei giocatori di gestire i momenti in cui serve essere forti emotivamente davanti all'imprevedibile. Come dire: se salta il piano gara, salta tutto. Così adesso starà pensando a quei terrificanti 60 secondi tra il 90' e il 91', quando stava per assaporare la finalissima di Parigi, in programma il 28 maggio, con il Liverpool. La stessa rivale della Premier – sono divise da un solo punto – per un altro derby inglese. A dimostrazione della potenza del calcio d'Oltremanica. Ma nessuno, Pep compreso, aveva fatto i conti con una leggenda del calcio: Carlo Ancelotti. Per lui la Champions non è mai stata un'ossessione. E nemmeno per il Real Madrid.