I tifosi cinesi di calcio sono arrabbiati. Non tanto perché la loro nazionale per l'ennesima volta non si è qualificata per i Mondiali. Sono le immagini che arrivano dal Qatar che li hanno fatti infuriare.
Il presidente Xi Jinping tifoso e calciatore
Stadi pieni, spettatori senza mascherine, nessun obbligo di mostrare il codice verde sugli smartphone per entrare. Un post pubblicato su WeChat ha riassunto la frustrazione dei cinesi (fan del football e non): «Viviamo sullo stesso pianeta del Qatar? Il Covid da loro non è mai arrivato?». E poi una serie di contestazioni alle autorità sanitarie di Pechino che ancora impongono lockdown e anche quest'anno hanno costretto alla clandestinità il campionato di calcio mandarino facendo svolgere le partite a porte chiuse, senza pubblico. Il post chiede anche di sapere quale sia l'utilità di far mettere la gente in fila quasi ogni giorno per il tampone; spiegare alla popolazione quali siano i criteri (ammesso e non concesso che ci siano) per porre fine un giorno alle restrizioni della politica Zero Covid; perché Hong Kong abbia ripreso una vita quasi normale e il resto della Cina no, ecc. ecc. La lettera aperta alle autorità ha fatto il pieno di contatti: 100 mila, che è il massimo conteggiato da WeChat. Poi è stata cancellata dalla censura e l'account del tifoso amareggiato è stato sospeso «per violazione delle regole».
2. I Mondiali visti dai nordcoreani
(Guido Santevecchi) La nazionale nordcoreana non è ai Mondiali. Il governo l'ha ritirata dalle qualificazioni perché dal 2020 le frontiere sono state sigillate per precauzione sanitaria. Alcune partite vengono comunque trasmesse dalla tv statale Korean Central Television. I sudditi di Kim hanno così potuto vedere la partita inaugurale Qatar-Ecuador: non un grande spettacolo e oltretutto in differita di due giorni. Pratica comune per ogni evento pubblico: il regime non si fida della diretta, perché potrebbe sempre succedere qualcosa di sgradito all'Ufficio Propaganda e Agitazione diretto da Kim Yo-jong, sorella del Maresciallo.
Un manifesto calcistico in Nord Corea
Basterebbe che uno spettatore sventolasse uno striscione contro Kim, o anche che le telecamere indugiassero su aspetti di vita locale «decadenti», vale a dire sulla ricchezza di un Paese che i nordcoreani potrebbero paragonare alle loro esistenze spartane. Fu fatta un'eccezione nel 2010, quando la Nord Corea era ai Mondiali e nella prima gara era riuscita inaspettatamente a fare una gran bella figura con il Brasile, sconfitta di misura dopo aver segnato un gol. La seconda partita con il Portogallo fu mandata in diretta: i nordcoreani si dovettero portare il pallottoliere per contare i setto gol segnati da Cristiano Ronaldo e compagni.
Questa volta non sono possibili umiliazioni sportive (che noi italiani chiamiamo «Corea», in imperitura memoria della sconfitta incassata dalle furie rosse nordiste in quel di Middlesbrough nel 1966). Ma oltre alla differita, i telespettatori nordcoreani debbono sorbirsi anche i pixel sulle pubblicità a bordo campo: tra i main sponsor della Coppa del Mondo in Qatar c'è la Coca Cola, bibita prodotta dagli imperialisti americani che hanno imposto l'embargo economico a Pyongyang.
P.S. Gli esperti ricordano che comunque la trasmissione dei mondiali è frutto di pirateria nordcoreana: la Korean Central Television si guarda bene dal pagare i diritti, si limita a rubare il segnale dalla vicina Sud Corea.
3. Neymar tra Lula e la Coppa
Tutti gli occhi puntati su Neymar: stasera l'asso del Brasile debutta ai Mondiali di Doha nella partita contro la coriacea Serbia. Tutti gli occhi tranne (forse) quelli del neo presidente brasiliano Lula: il numero 10 ha tifato apertamente per il rivale Bolsonaro (in alcuni video pubblicati su TikTok, lo si vede cantare il «jingle» della campagna del leader della destra). Alle critiche, il calciatore aveva risposto: «Siamo in democrazia, giusto?».
Tempi andati: Neymar con il presidente Lula all'inizio della carriera
Bisognerebbe che Neymar lo ricordasse al suo beniamino Bolsonaro, che ancora rifiuta di riconoscere ufficialmente la sconfitta alle urne. Al portabandiera della nazionale verdeoro, Lula aveva rifilato una frecciata velenosa prima del voto: «Forse Neymar sostiene Bolsonaro per una questione fiscale», perché non vuole che qualcuno scopra i termini del condono che ha ripianato i suoi debiti con lo Stato. Neymar ha risposto che Bolsonaro non c'entra, che l'accordo è arrivato nel 2017 prima del suo insediamento.
Il leader della destra aveva incassato il sostegno di Neymar con due promesse: «Io vincerò le elezioni e lui il Mondiale». La prima scommessa è andata delusa. Per la seconda, questa sera comincia il ballo. E se poi la nazionale più titolata della storia dovesse arrivare un'altra volta fino in fondo, probabilmente Lula dimenticherà lo scherzetto di Neymar e lo abbraccerà come un figlio prediletto. Perché questa è la democrazia, e soprattutto questo è il calcio (non solo) in Brasile.
4. Bolsonaro, schiaffo e multa
di sara gandolfi
Jair Bolsonaro perde ancora, e si prende l'ennesimo «schiaffo istituzionale» dal presidente del Tribunale elettorale superiore del Brasile. Alexandre de Moraes ha respinto ieri l'azione legale del Partito liberale — cui appartiene il presidente uscente — che puntava ad invalidare parte dei voti del secondo turno elettorale, vinto dal rivale Lula il 30 ottobre scorso con un margine di poco meno di due milioni di preferenze.
Bolsonaro con il suo sostenitore Neymar in una foto più recente
Il giudice non si è fermato qui: ha condannato la coalizione di Bolsonaro, formata da liberali, repubblicani e progressisti a pagare una multa di quasi 23 miliardi di reais (circa 4,1 milioni di euro) per il reato di «contenzioso in malafede». Inoltre, ha ordinato il congelamento dei fondi dei tre partiti finché non sarà pagata la sanzione. Nella sentenza, Moraes spiega che l'iniziativa legale dei bolsonaristi «mirava a sconvolgere il regime democratico brasiliano». Insomma, una sorta di tentato golpe per via giudiziaria. Durante tutta la campagna elettorale, Bolsonaro ha ripetutamente delegittimato il sistema di voto elettronico in Brasile, denunciando preventivamente probabili frodi, ma senza mai presentare prove delle sue accuse.